Le mie prime radio CB

Dopo qualche mese, la radio portatile Sony da 100 mW cominciò a starmi stretta. È vero che ero riuscito a aumentarne la potenza fino a un paio di watt e che con fili volanti collegati a commutatori anteguerra avevo aggiunto un paio di canali extra, ma la situazione era a dir poco scomoda, di portatile non c’era più niente, era diventato un grumo di fili e basette multifori appoggiato sul tavolo.
Gli apparati CB commerciali con potenza di 5 watt e corredati di tutti i 23 canali della CB costavano dalle centomila lire in su. Di un regalo natalizio in casa non era neanche da parlarne, a parte il prezzo (per confronto, una buona bicicletta costava sulle 28.000 lire) i miei consideravano le radio al pari di una dose di eroina. Cominciai così a mettere da parte i soldi, mille lire alla volta, risparmiando sui gelati e sulle focacce e contando sulle mance di nonna e zio.
La cosa si fece spessa entro breve, con anche duemila lire alla settimana (dovevo pur sempre comprare i giornaletti, le riviste di fotografia e elettronica e le cassette pirata alla fiera di Sinigaglia del sabato) ci sarebbe voluto un anno per arrivare al minimo necessario, e da ragazzini si ha fretta. Ma andai comunque avanti per la mia strada.

A Milano il negozio di roba elettronica più famoso e frequentato era la GBC, dalle iniziali di Gian Bruto Castelfranchi. Si diceva indifferentemente „faccio un salto alla GBC“ o „vado da Castelfranchi„. Ci si andava soprattutto per comprare singoli componenti elettronici – resistenze, condensatori, transistor – per costruirsi circuiti che poi funzionavano o che perlopiù non funzionavano. In ogni caso era divertente e seguendo le descrizioni dei progetti presentati dalle tante riviste di elettronica come „CQ“ si imparavano un sacco di cose teoriche.

Un giorno andai alla GBC tanto per curiosare e in mezzo al salone del grande negozio vidi una catasta di radio CB in offerta. Una sfilza di Johnson 23 canali e una pila di ricetrasmettitori da auto Midland, solo tre canali ma 5 watt, e quest’ultimi costavano appena 30.000 lire. Corsi alla bici, corsi a casa come un pazzo, recuperai i trenta biglietti da mille che avevo accumulato giusti giusti e corsi alla GBC prima che qualcuno comprasse tutte le radio lasciandomi a secco.

Quel Midland 13-800 è la radio cui sono maggiormente affezionato. I canali erano solo tre, ma forando lo chassis nella parte superiore, aggiunsi un selettore che mi permetteva di aggiungerne altri 12, portando il totale a 14 canali possibili (uno era sacrificato perché il relativo zoccolo nel circuito faceva da collegamento al selettore).

La mia vita radiantistica cambiò drasticamente. Grazie ai 5 watt (in ingresso allo stadio finale, in realtà meno di 3 in uscita) adesso in città mi sentivano tutti e potevo dire anch’io „qui ci sono troppe interferenze, spostiamoci su un altro canale„.

C’era però un inghippo costoso. Chi sa di radiotecnica sa di che parlo. Chi non lo sa prenda per buono che per ogni canale di cui si voleva disporre era necessario acquistare una coppia di quarzi (della stessa natura di quelli degli orologi al quarzo) sintonizzati su quella frequenza. 14 canali, 28 quarzi.

quarzi per CB
Nella foto i due quarzi necessari per sintonizzare il canale 9 della CB. La frequenza di 27,065 è quella di trasmissione, la frequenza di ricezione, 26,610, è quella di trasmissione meno il valore di media frequenza di 455 kHz.

Costavano 1.500 lire l’uno. Il vantaggio era che non appena si aveva qualche mille lire in tasca si poteva ampliare il proprio orizzonte di sintonizzazione. Lo svantaggio era che comunque si trattava di un sacco di soldi.

La pagine dei cristalli di quarzo del catalogo Marcucci.

Arrivai a avere otto o nove canali e decisi che non aveva senso mettere in programma un investimento maggiore del costo della radio stessa per poter accedere a tutte le frequenze CB. Cominciai allora a valutare un upgrade drastico, che sarebbe poi arrivato con il Pony CB75. Prima però mi costruii un VFO, un oscillatore a frequenza variabile che permetteva di fare a meno dei quarzi e di accedere a qualsiasi frequenza a piacimento attraverso un circuito di sintonia variabile. L’avevo necessariamente costruito in economia, senza nessun tipo di quadrante di riferimento e demoltiplica della manopola di sintonizzazione, per cui non solo non sapevo mai su che frequenza (su che canale) mi trovavo, ma avendolo costruito con i piedi per la fretta dell’entusiasmo, la frequenza slittava che era un piacere, per cui potevo cominciare il collegamento sul canale 16 e ritrovarmi dopo pochi minuti sul canale 12. Quando collegavo qualcuno dotato anche lui di VFO autocostruito con i piedi si faceva appena in tempo a dirsi ciao, dopo di che ognuno di noi scivolava su frequenze sconosciute e non ci si incontrava mai più.

Quella radio della Midland la diedi poi a un furbacchione che mi convinse a accettare in cambio alcune inutili cianfrusaglie elettroniche. Me ne pentii tre minuti dopo, lui probabilmente racconta ancora oggi di come avesse infinocchiato un amico di suo fratello.

Tanti anni più tardi l’ho cercata a lungo su ebay e ne ho trovate due a distanza di tempo. La prima me l’ha venduta un tizio tedesco a un prezzo quasi regalato, perfettamente funzionante ma con lo chassis molto sciupato.

La seconda l’ho trovata negli Stati Uniti, prezzo irrisorio e spese di spedizione e sdoganamento folli, ma l’ho presa lo stesso. Il venditore americano, nello scambio di mail mi ha domandato in che mese e anno fossi nato e sorpresa, assieme alla radio mi ha spedito il numero di aprile del 1960 di „QST“, l’organo della associazione dei radioamatori americani, la ARRL. È stato un regalo bellissimo per il quale gli sono molto grato, e rappresenta bene quello che è stato e a volte è il clima di amicizia e affetto tra sconosciuti accomunati dalla stessa nobile passione.

Con una serie di trapianti, dalle due radio ne ho cavata una in condizioni piuttosto buone, completa di scatola e manuale di istruzioni.